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Narrazioni dal sottosuolo

a cura del Dott. Giuseppe A. Messina

“Mi sembra che il termine “angosciato” sia applicabile quando un individuo è dominato da un’esperienza [..] che egli non può né evitare né capire, quando cioè egli è per la maggior parte inconsapevole della ragione di ciò che sta succedendo”

Ricordi della nascita, trauma della nascita ed angoscia (Winnicott, 1949, p. 219)

 

Se stessi: cosa mi succede?

Nel prolungamento della quarantena, nell’allungamento del traumatico che ci ha investito, mi sono chiesto come psicoterapeuta psicoanalitico cosa mi stesse succedendo, come l’angoscia agisse sulla mia psiche. Il titolo del lavoro, narrazioni dal sottosuolo, è liberamente preso a prestito dalle “memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij (1864), un libro che ci mostra il ripiegamento di un uomo verso il suo interno. Per aiutare gli altri si deve prima di tutto aiutare sé stessi, solo così si può provare ad offrire qualcosa di solido a chi cerca aiuto. Questa ricerca interiore è un baluardo che ogni giorno si ripete e su cui fondo il mio lavoro con i pazienti. Questa ricerca mi ha spinto a scrivere ancora, per fornire un orientamento, una bussola alle famiglie, pur nell’incertezza.

 

Stiamo vivendo giorni complessi, fatti di molte e diverse emozioni, spesso contrastanti. La quarantena che ci tiene in casa sembra portare ognuno a contatto con il suo principale coinquilino, sé stesso. Scopriamo dunque che abbiamo dentro volti, immagini, suoni, odori, emozioni diverse e poliedriche, contraddittorie. La scoperta di un interno così ricco e oscuro mette a dura prova la presunta conoscenza di sé che spesso ostentiamo, alcune emozioni sono così tenaci ed intense che ci sorprendono. Ci chiediamo in quale misura queste emozioni siano sempre state lì, coperte dal frastuono del quotidiano, e in quale misura emergano da questo specifico momento. Forse ognuno ha una sua diversa misura di questo, ma quel che è certo è che entrambe le questioni sono lì, intrecciate soggettivamente. Da una parte c’è qualcosa che c’è sempre stato e che non abbiamo voluto vedere, dall’altra c’è qualcosa di specifico di questo momento: forse non è importante distinguere, forse è importante riscoprirsi in compagnia di sé stessi. Questa convivenza con sé stessi, sempre presente quanto trascurata, emerge con forza e obbliga chiunque di noi, con qualche riserva che proverò ad esporre più avanti, a confrontarcisi.

 

Mondo interno ed esperienza del tempo: un capovolgimento e un’ipotesi

In tal senso mi sembra interessante osservare, per cominciare, la questione del tempo. Il tempo della quarantena è da un lato svuotato, svuotato dalle azioni e i ritmi del quotidiano, dall’altro è troppo pieno delle emozioni che ci chiedono di essere viste e comprese. Se nel quotidiano il tempo è pieno di azioni, impegni, appuntamenti, e le emozioni sono trascurate, vuote, non viste; allora il tempo della quarantena è pieno di emozioni, pensieri, impulsi, e vuoto di azioni, impegni e appuntamenti. Proseguendo per questa direzione mi sorge un’ipotesi: che il tempo della quarantena rappresenti il negativo del tempo del quotidiano. Questo capovolgimento del tempo ci sta forse mostrando l’altra faccia della luna, quella che generalmente non vediamo. Così, il venir meno del mondo esterno, che fa emergere l’esistenza di un mondo interno, è diventato foriero di angoscia e di inquietudine. Scopriamo che il mondo esterno è generalmente controllabile perché sottoposto alla nostra possibilità di agire, le azioni ci permettono di modificare ed incidere nel mondo esterno, ed invece sembriamo sprovvisti di mezzi adeguati per incidere nel mondo interno. Il mondo interno non è direttamente modificabile attraverso azioni concrete, non esistono operazioni semplici per poterlo gestire. La psicoanalisi ci ha mostrato l’esistenza di un mondo interiore, inconscio, oscuro, potente, sempre presente, e ora noi lo stiamo scoprendo nel modo più semplice possibile, attraverso la riduzione totale del mondo esterno che prima potevamo controllare attraverso le nostre azioni. Freud in una opera molto importante, “pulsioni e loro destini”, ipotizza un modo attraverso il quale un essere vivente possa distinguere un “fuori” da un “dentro” e mai come ora ci risuona così significante: “Egli avvertirà da un lato stimoli dai quali si potrà ritrarre mediante un’azione muscolare (fuga), e attribuirà questi stimoli ad un mondo esterno; ma dall’altro avvertirà pure stimoli nei confronti dei quali una tale azione non servirebbe a nulla, e che, a dispetto di essa, serbano permanentemente il loro carattere assillante; questi stimoli costituiscono l’indice di un mondo interiore, la prova dell’esistenza dei bisogni pulsionali. La sostanza percipiente dell’essere vivente ha in tal modo trovato, nella efficacia della propria azione muscolare, un criterio per distinguere un “fuori” da un “dentro” (Freud, 1915, p. 15). La nostra vita psichica dunque, privata della sua capacità di dominare gli stimoli esterni attraverso le azioni muscolari, risuona nell’interno, un suono per molti di noi sconosciuto ed angosciante. Il “pieno” delle nostre vite esteriori, ricche di impegni e appuntamenti esterni, che prima fungeva da contraltare e contrappeso al “vuoto” delle nostre vite interne, è venuto meno. Ci ritroviamo alle prese con un “vuoto” interiore che è quanto mai “pieno” e ci chiede di essere visto e considerato. Se dunque si può ipotizzare che il tempo della quarantena è il negativo del tempo del quotidiano il suo scorrere soggettivo è inevitabilmente diverso. Lo scorrere del tempo che stiamo vivendo è nella maggior parte dei casi esperito come interminabile, il contatto con l’interno è fonte di stimoli insopprimibili e allora possiamo provare a vedere cosa c’è ora in questo interno.

 

Traumatismo presente e passato: perdita di mondo e di significato

Il trauma, per come siamo abituati a considerarlo linguisticamente, ci fa venire in mente un trauma fisico come ad esempio battere la testa, o un trauma psichico, come la perdita di una persona amata. In questo senso possiamo ben dire che il coronavirus e la conseguente reclusione in casa è un trauma, fisico e psichico: fisico perché il nostro corpo è limitato nella sua attività di movimento; psichico perché le nostre vite sono irrimediabilmente impoverite di relazioni e affetti corporei. Questo nel migliore dei casi. Molte persone hanno esperito traumi e perdite ben più prorompenti: chi ha perso persone amate a causa del virus; chi ha perso il lavoro e con esso il sostentamento economico e dunque un orizzonte futuro; chi vive all’estero lontano dai propri affetti ed è impossibilitato a raggiungerli; chi è recluso in una casa troppo piccola per tutti. Questo è solo un breve e parziale elenco dei traumatismi cui il virus ci ha esposto. Questo modo di concepire il trauma, per eventi accaduti, non ci aiuta a coglierne l’essenza più intima: l’esperienza del trauma è più propriamente l’esperienza di non riuscire a fornire un senso a ciò che accade. Il trauma esiste laddove l’individuo non ha sufficienti risorse psichiche per significare ciò che sta succedendo ed in questo modo ogni volta che c’è un trauma c’è un fallimento della capacità di comprensione. In quest’ottica il trauma diviene un’esperienza universale, comune a qualunque essere umano. Il trauma appare dunque come un corpo estraneo, un ospite all’interno della psiche, senza nome e cognome, senza rapporto con le altre componenti. Questo ospite ha un enorme capacità, per così dire, magnetica. Il trauma che stiamo esperendo, la progressiva riduzione del mondo alle nostre case, insieme ai particolari casi che ho provato brevemente ad elencare, ha una capacità di richiamare a sé altri traumi precedentemente vissuti, come per associazione. Freud, nel saggio metapsicologico sulla rimozione, ci mostra chiaramente questo processo: “[...] la rimozione propriamente detta, colpisce i derivati psichici della rappresentanza rimossa, oppure quei processi di pensiero che pur avendo una qualsiasi altra origine sono incorsi in una relazione associativa con la rappresentanza rimossa. In forza di tale relazione queste rappresentazioni incorrono nello stesso destino di ciò che è stato originariamente rimosso. La rimozione propriamente detta è perciò una post-rimozione” (1915, p. 38). Quanto detto significa che questa esperienza traumatica che stiamo vivendo, non è soltanto qualcosa che la nostra psiche prova attivamente a rimuovere sospingendola nell’inconscio ma è anche qualcosa che è attratta dai contenuti traumatici rimossi già presenti nell’inconscio stesso. Tutto ciò che non ha trovato significato prima è un magnete capace di attrarre a sé tutto ciò che non trova significato adesso e viceversa. Quanto appena detto ci permette di vedere un po’ meglio cosa ci accade, il dolore di oggi si associa ai dolori passati e noi non riusciamo a distinguere il passato dal presente che dunque ci si presenta esclusivamente sotto forma di angoscia senza nome. Questa peculiare condizione in cui ci ritroviamo immersi, mette in moto una serie di operazioni psichiche di grande rilievo che proverò a mostrare.

 

Il senso e il mondo: necessità umane

L’uomo si distingue da tutti gli altri animali superiori per le sue peculiari capacità di linguaggio. Certo, molti animali presentano capacità di comunicazione estremamente complesse, basti pensare ai cani, ai gatti, alle api, alle formiche, alle balene, ai delfini e molti altri ancora, tuttavia nessuno di questi, per quanto a noi noto, possiede una capacità interpretante. L’uomo è cioè un interprete. La comunicazione linguistica umana non è una operazione a due, a tale parola corrisponde tale oggetto, bensì un’operazione triadica: tale parola entra in relazione con un interpretante, che assegna in modo complesso con il proprio mondo interno, a tale oggetto un certo significato (Peirce, 1980). Questa capacità tipicamente umana di interpretare ciò che percepiamo è la stessa capacità che ci ha permesso di vedere nella legna del materiale per costruire una capanna o nel fuoco qualcosa per cuocere i cibi. Questa possibilità di interpretare la realtà è così radicalmente innata al nostro funzionamento mentale che la diamo quasi per scontata e molto spesso finiamo per vedere nelle nostre interpretazioni le sole possibili. Questa capacità fondamentale dell’individuo è la capacità che è messa fuori uso dal trauma. Il trauma, se è veramente tale, non ha interpretazione, non ha parole, è una cosa, sempre uguale a sé stessa, non sottoponibile a prospettive. Come abbiamo visto quanto sta accadendo fuori sta entrando in risonanza con quanto è già accaduto dentro e chiede alla capacità interpretante umana un senso, un’operazione psichica che attribuisca un significato, qualcosa che lo faccia uscire dalla condizione di insensato. Questo si traduce in un’alacre produzione di sensi e significati, non sempre adeguati.

 

Teorie, narrazioni e fake news: questioni legate all’angoscia

In questo senso appare molto interessante un fenomeno da sempre accaduto nella storia di fronte alla riduzione del mondo e al traumatismo collettivo: il proliferare di storie e di informazioni, il moltiplicarsi di narrazioni ed invenzioni. Chiunque di noi ha avuto un familiare che ha esperito la guerra si è imbattuto in narrazioni molteplici e contraddittorie, in teorie curiose e storie inverosimili, già ai tempi della seconda guerra mondiale la psicoanalisi se ne è occupata (Bonaparte, 1946). Questa attività può avere, secondo il modo di vedere psicoanalitico, almeno due importanti ragioni: la prima è evidenziabile in un movimento di riempimento di ciò che è vuoto, di fronte ad una riduzione del mondo e delle capacità di fare esperienza, le storie sono un tentativo di colmare ciò che non c’è; la seconda è un tentativo di fornire spiegazioni esterne a ciò che è interno, uno spostamento del problema dall’interno all’esterno, potendo così, tramite questa operazione, assegnargli nome e cognome. Ad esempio stiamo assistendo alla copiosa produzione di teorie di complotti, questi complotti avrebbero precisi mandanti e precisi interessi, con l’intento di assoggettare l’umanità. Queste teorie e narrazioni ben ci mostrano quanto sto dicendo, l’angoscia senza nome, esperita solo come impotenza ed inquietudine, trova la possibilità, per così dire, di essere trasferita all’esterno e quindi combattuta.

 

Bibliografia

Bonaparte, M. (1946). Miti di guerra. Il corpo, 2005(XI), 16-39. Dostoevskij, F. (1864). Memorie dal sottosuolo. Milano: Feltrinelli, 1995.

Freud, S. (1915). Metapsicologia, La rimozione. In S. Freud, Opere Vol. 8. 1915-1917 - Introduzione alla Psicoanalisi e altri scritti (p. 36-48). Boringhieri, 1976.

Freud, S. (1915). Metapsicologia, Pulsioni e loro destini. In S. Freud, Opere Vol. 8. 1915-1917 - Introduzione alla Psicoanalisi e altri scritti (p. 13-35). Boringhieri, 1976.

Peirce, C. S. (1980). Semiotica. (M. Bonfantini, L. Grassi, & R. Grazia, A cura di) Torino: Einaudi. Winnicott, D. (1949). Ricordi della nascita, trauma della nascita ed angoscia. In D. Winnicott, Dalla

Pediatria alla Psicoanalisi (p. 211-233). Psycho, 1975.