E io? Mi dipingo di blu?
Sento parlare di emergenza sanitaria da settimane e neanche un pensiero caldo e vicino a chi con l’emergenza ci combatte ogni giorno e ci combatterà tutta la vita. Genitori guerrieri, anime combattenti che non si arrendono, perché il vero nemico non è l’autismo ma un sistema sordo, silenzioso, inetto, che dimentica e lascia soli al bisogno. Genitori ma in fondo semplicemente persone per le quali un singolo sguardo, sorriso o suono fatto da quel figlio che non guarda, non sorride o non parla rappresentano la più grande vittoria. Persone per le quali quel “mamma” o “papà” detto e sentito per la prima volta non è un processo naturale e fisiologico dello sviluppo linguistico ma rappresenta il costo di tanti sacrifici e proprio per questo probabilmente ha un gusto dolceamaro di chi sa che è solo un piccolo passo, anche se profondamente unico e irripetibile. Il sentire arriva silenzioso e il pensiero va subito a tutto quello che c’è ancora da fare per non perdere tempo. Tempo prezioso perché sanno che intervenire precocemente consente una più funzionale sistematizzazione e riorganizzazione interna delle esperienze percettive poiché le strutture encefaliche sono ancora in una fase di maturazione e differenziazione.
Quel vissuto che in parte è anche il nostro, quando sentiamo chiamarci per la prima volta per nome e non riusciamo a trattenere l’emozione, quel “Ca-rrrrol” così sudato che rappresenta una montagna che stiamo scalando insieme e per qualche secondo nella nebbia riusciamo ad intravedere la vetta.
Il nostro pensiero va a tutte le famiglie per cui il 2 Aprile non è solo oggi ma tutti i giorni: non siete soli!
Di seguito, riporto integralmente le riflessioni della Dott.ssa Giulia Giovagnoli, una collega e una grande professionista, ma prima di tutto una persona dalla profondissima umanità.
“Tutti uguali - Il disturbo dello spettro autistico ai tempi del Coronavirus
Passa una pubblicità: una famiglia sorridente si gode la quarantena, condivide momenti di gioia ritrovata per la coatta possibilità di vivere insieme giornate altrimenti trascorse dietro a mille impegni. Con una musica che ormai ci nausea, la televisione consiglia come trascorrere le giornate. Il coronavirus ci sta regalando ciò che avevamo perso: il tempo con i nostri cari.
Questo vale, però, solo per alcune famiglie, quelle dove il tempo trascorso a casa è prezioso, ricco, da raccontare nei Natali che verranno.
Tuttavia, esiste anche un’altra realtà, ben diversa, dove la quarantena non regala tempo, ma lo sottrae: è il tempo della terapia, della riabilitazione e della socializzazione.
In Italia, le persone che presentano un disturbo dello spettro autistico sono migliaia e ora, come tutti, sono costrette a rimanere a casa. La situazione allora è molto diversa dalla pubblicità.
I genitori che ancora hanno un impiego sono occupati nello smart working e il lavoro non fa sconti nemmeno se si ha nella stanza accanto un bambino che ha bisogno di attenzioni e stimoli costanti. Madri e padri si alternano nel cercare di intrattenerli, ma non è semplice. Gli interessi non sono quelli dei loro coetanei neurotipici, spesso non si può semplicemente fare un puzzle o un disegno. Bisogna inventarsi attività a misura del bambino, tenere conto dei suoi interessi, delle sue capacità e rispettare tempi di attenzione spesso brevi. Se il figlio è grande, intrattenerlo è forse ancora più dura. D’altra parte, lasciarlo da solo significa sapere che penserà ai suoi interessi stereotipati, ripeterà frasi apparentemente senza senso, camminerà avanti e indietro senza uno scopo preciso. I dispositivi elettronici arrivano in soccorso intrattenendolo più a lungo, ma spesso con la conseguenza di aumentare quel soliloquio senza senso. Il genitore lo sa: gli deve lasciare quel tempo da solo, è inevitabile. Intanto, il telefono squilla, il capo chiama, c’è una scadenza da rispettare, un lavoro da mantenere.
Il costo da pagare è il conto emotivo che si presenta quando il genitore si chiede se tutto quel tempo da solo gli abbia fatto male; quando si angoscia pensando alle ore di terapia perse, alle occasioni di socializzazione ormai inesistenti, alla paura di veder svanire le conquiste faticosamente raggiunte; quando si rimprovera per non aver avuto pazienza, si sente in colpa e si rinnova la sofferenza e il senso di impotenza.
Certo, la salute fisica è un bene più grande. Lo sanno perfettamente questi genitori che dal giorno della diagnosi si chiedono “cosa succederà quando non ci sarò più?”. Chissà, allora, quanta paura del contagio, della morte, del lasciare un bambino o un ragazzo senza aver avuto il tempo per programmare il suo futuro “dopo di noi”. Chissà quanta paura che proprio il figlio sia contagiato e di vedersi sottrarre un posto in terapia intensiva riservato a qualcuno “sano”, in una prospettiva di selezione tutt’altro che naturale.
Il disturbo dello spettro autistico ci impone di considerare che l’uguaglianza non è giustizia e la parola “tutti” è una parola che fa rabbia. Non siamo “tutti uguali” nella vita quotidiana quando i pomeriggi sono scanditi dagli orari delle terapie, i pasti dai gusti selettivi dei bambini, lo stipendio dal pagamento delle terapie spesso private, la scuola dai programmi differenziati e dagli insegnanti di sostegno. Non siamo “tutti uguali” quando i genitori devono imparare da specialisti come interagire con i loro figli, come stimolarli, come gestirli.
Non siamo allora “tutti uguali” adesso, in questo straordinario momento mondiale di isolamento e paura.
Il 2 Aprile ricorre la giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo e forse i palazzi della politica e della cultura verranno illuminati di Blu. Forse “tutti gli altri” ricorderanno che esiste anche questa realtà e che ha diritto di essere ascoltata soprattutto adesso. Se non siamo “tutti uguali” nelle difficoltà, non dobbiamo esserlo nemmeno nel riconoscimento dei diritti: il diritto di uscire di casa, avere un sostegno economico per proseguire le terapie, avere degli esoneri prolungati dal lavoro, usufruire di una didattica specializzata e individualizzata.
Forse le luci blu serviranno a ricordare a tutti che il disturbo dello spettro autistico non è il problema di pochi, ma una responsabilità comune e, come diceva De Andrè “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Siamo tutti coinvolti.
Giulia Giovagnoli”